Le origini della lavorazione delle ceramiche a Ficulle non sono state trovate, ma vanta credito l’ipotesi suggestiva che il nome stesso del paese derivi da figulus, vasaio.
Senz’altro suggestiva è la notizia, riportata dal Fumi nel suo studio “Il duomo di Orvieto e i suoi restauri”, di una commessa risalente al 1321 di materiale laterizio utilizzato per la copertura della cattedrale e richiesto ad una fabbrica di Villa di Montanso, nel territorio di Ficulle. Ancora, nei catasti del 1590 e del 1597 per indicare i limiti delle proprietà censite si fa più volte riferimento a fornaci. Alla memoria scritta possiamo affiancare il dato materiale grazie ad alcuni esemplari provenienti da collezioni private e risalenti al ‘600. Sembra superfluo precisare, quindi, che la ceramica ficullese possa vantare una tradizione plurisecolare. La tradizione orale consente di reperire informazioni sulla produzione ficullese a partire dalla prima metà dell’800, quando erano attive nel territorio comunale, sia all’interno del paese, che nelle frazioni, una decina di famiglie di artigiani, tre delle quali operavano in una zona che da loro aveva preso il toponimo, tuttora in uso, “Le Cocciare”. La scelta del luogo non era avvenuta a caso, visto che poco oltre, verso valle, si trovava una delle cave d’argilla più ricche e sfruttate della zona.
Le forme più tipiche e tradizionali delle terrecotte ficullesi sono: la “truffa”, caratteristico contenitore in cui si soleva mettere l’olio, utilizzato anche come mezzo di misura; la brocca e “panata”, contenitori panciuti di varie dimensioni e con il becco ampio e incuneato, ideali per portare l’acqua e il vino; la “pignatta” e il “pignatto”, il primo con due manici, si utilizzava principalmente durante la trebbiatura per fare il brodo, il secondo con un manico, ideale per cuocere il cibo nel camino, specialmente i fagioli; la “stufarola”, una caratteristica pentola larga, con coperchio, utilizzata per fare zuppe, stufati, carni in umido etc.; la “pretina” e il “focone”,al cui interno si disponevano carboni ardenti, utilizzati, laprima, per scaldare il letto la sera prima di coricarsi, il secondo, per riscaldare l’intera stanza da letto; il “broccuccio” e il “broccuccetto”, con un tipico manico ad archetto, servivano per portare l’acqua. Una particolarità sono anche i fischietti in terracotta, riprodotti per lo più con la forma di animali domestici o selvatici.
La cucina ficullese trova una sua precisa identità grazie al particolare legame che ha con la tradizione delle terrecotte, infatti si usavano e si usano ancora oggi diverse tipologie di “coccio” a seconda della pietanza, capace di esaltarne i sapori e le caratteristiche. Ad esempio il pancotto, i fagioli con le cotiche, i legumi in generale o le zuppe si cuocevano nel pignatto, mentre per il coniglio alla cacciatora , il pollo all’arrabbione o le carni in generale si utilizzavano le stufarole.
Attualmente a Ficulle, la bottega artigiana Fattorini tiene viva la tradizione della produzione delle terrecotte. Il laboratorio è aperto su appuntamento per visite e dimostrazioni, mentre lo show room è sempre aperto per l'acquisto dei cocci che Fabio, il cocciaro, ha saputo nel tempo anche ammodernare, creando con la creatività stoviglie ad uso moderno come l'apprezzatissima pentola per cuocere il pane e quella per cuocere le patate. All'interno del borgo, invece, è possibile visitare il museo privato di terrecotte di Costantino del Croce, un altro cocciaro storico del paese che recentemente, prima di andare in pensione, ha voluto creare a futura memoria un esemplare di ciascun tipo di coccio prodotto nella sua vita da lui e dai membri della sua famiglia che erano stati cocciari prima di lui.